26 Set Studi di settore: l’onere della prova a carico del fisco.
Trattandosi di presunzioni semplici, la prova resta a carico dell’Ufficio, il quale nell’operare dovrà assumere fatti noti. E’ principio ormai consolidato che gli studi di settore sono presunzioni semplici senza l’inversione della prova a danno del contribuente. Quindi, il Fisco, deve dimostrare e documentare le gravi incongruenze, senza alcuna inversione dell’onere della prova. La giurisprudenza di legittimità della Corte di Cassazione(sent. 17229/06, n. 2380/06, n. 9135/05,n. 9946/03, n.
13995/02) che si è interessata alla questione, ha ribadito che in tema di studi di settore le presunzioni sono sempre semplici, senza l’inversione dell’onere della prova a danno del contribuente e che bisogna dimostrare le gravi incongruenze, perché da soli gli studi di settore non possono avere alcuna forza accertatrice. L’Agenzia delle Entrate ha emanato in tema di presunzioni semplici la circolare n. 5 del gennaio 2008 con cui chiarisce inequivocabilmente che negli studi di settore la presunzione è semplice e che l’Ufficio deve dare sempre la prova che non essere la ricostruzione indiretta dei ricavi. Le presunzioni gravi, precise e concordanti non sarebbero costituite dallo scostamento rispetto agli “standard” in sé considerato ma andrebbero individuate di volta in volta rispetto al caso concreto. La cassazione a sezioni unite con le sentenze nn. 26635-26636-26637-26638, depositate il 18.12.2009 ma anche con la recentissima sentenza n. 19223 del novembre 2012 ritiene che gli studi di settore siano un sistema di presunzioni semplici che devono essere necessariamente personalizzati nell’ambito del contraddittorio il cui esito deve far parte della motivazione dell’atto di accertamento. La Corte rileva che gli studi rappresentano una elaborazione statistica il cui frutto è un’ipotesi probabilistica che, come tale, può solo costituire una presunzione semplice. La Corte di Cassazione interviene nuovamente, con la recente sentenza n. 1864/2012, depositata l’ 08 febbraio a cura della sesta sezione civile – la cosiddetta sezione “filtro” –, in materia di studi di settore, rafforzando il principio sancito dalla sentenza delle Sezioni Unite del 2009, la n. 26635, secondo il quale gli studi di settore non sono suscettibili di generare presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. La Cassazione accoglie il ricorso del contribuente, tanto per effetto del principio affermato dalle Sezioni Unite quanto in considerazione del fatto che non sono state esplicitate considerazioni di sorta, a cura della controparte resistente, circa le ragioni idonee a superare le difese opposte in merito alle censure per le quali il reddito dichiarato risultava congruo in base ai parametri applicabili pro tempore. Confermando, così, che se certamente alcuna delle parti in causa può vantare un’esimente in termini probatori, è altrettanto certo che, però, la prima mossa spetta all’Ufficio, la cui pretesa ben difficilmente potrà resistere in sede contenziosa se fondata esclusivamente sulle risultanze matematico-statistiche, ormai definitivamente acclarati quali semplici elementi indiziari (si veda anche Cassazione, sezione tributaria, ordinanza n. 29185/2011).
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