Nullità delle cartelle per difetto di motivazione

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La cartella di pagamento  carente sotto il profilo motivazionale, è illegittima e, quindi, nulla  perchè emessa in violazione dell’art. 3 L. 241/90 e dell’art. 7 L. 212/00. Tali disposizioni, infatti, hanno previsto l’obbligo generalizzato di motivazione per ogni provvedimento amministrativo, precisando a tal fine, il contenuto della stessa, vale a dire i presupposti di fatto e di diritto (le ragioni giuridiche) che hanno spinto l’Amministrazione ad agire (così SS.UU. 5117/1990; SS.UU. 871992; Cass.

sez. trib., sent. n. 14485/2003 e n. 23802/04). La funzione della motivazione, è, infatti, duplice: innanzi tutto, quella di consentire di individuare il provvedimento amministrativo, secondariamente, essa deve rappresentare lo strumento per stabilire se l’istruttoria compiuta dall’Amministrazione sia stata completa. Ossia, deve consentire la valutazione dei fatti e degli interessi collettivi coinvolti dal provvedimento e, quindi, se questo coincide con le regole della logica e della correttezza. Infatti, come chiarito dalla Suprema Corte, quando la motivazione esiste (e non è solo apparente) si possono raggiungere due importantissimi obiettivi: in primo luogo, è possibile individuare il provvedimento amministrativo ed eventuali altri provvedimenti ad esso correlati; in secondo luogo, si può verificare se l’iter logico-giuridico posto dall’Amministrazione a fondamento della propria pretesa sia stato svolto in maniera esaustiva. La mancanza di argomentazioni poste a sostegno della pretesa impositiva, di fatto, finisce col determinare la violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito, in quanto pone  il contribuente nella posizione di conoscere soltanto le conclusioni cui l’A.f. è giunta, impedendogli, così, di controbattere efficacemente le tesi dell’Amministrazione. Tale presupposto fondamentale, su cui più volte ha avuto modo di pronunciarsi la Suprema Corte, è stato, poi, in ambito tributario, definitivamente sancito dall’art. 7 del c.d. “Statuto del contribuente” (212/2000) che, come si è detto, consacrando in legge i principi immanenti dell’ordinamento tributario, ha affermato l’illegittimità dell’accertamento emesso dall’Ufficio finanziario privo di adeguata motivazione. In particolare, con specifico riferimento alle cartelle di pagamento, il comma 3 dell’art. 7 citato prevede che “ sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria”. La Corte di Cassazione, a tal proposito, nella sentenza n. 18415/2005, ha sottolineato che “alla cartella di pagamento debbono…ritenersi comunque applicabili i principi di ordine generale indicati per ogni provvedimento amministrativo dell’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (espressamente recepiti, per la materia tributaria, dall’articolo 7 della legge 212/2000), ponendosi una diversa interpretazione in insanabile contrasto con l’articolo 24 della Costituzione”. Peraltro, in passato l’obbligo della motivazione della cartella era previsto e disciplinato già dal D.M. Del 28/6/1999, in cui il legislatore aveva precisato che tali cartelle “al fine di raggiungere l’obiettivo della trasparenza dell’azione amministrativa devono fornire al debitore tutti gli elementi necessari ad evidenziare i motivi che hanno determinato l’iscrizione a ruolo delle somme di cui si richiede il pagamento”. Del resto, la stessa giurisprudenza di merito ha sottolineato l’importanza della motivazione anche nella cartella di pagamento. L’obbligo di motivazione della cartella risponde ad un’esigenza di trasparenza della Pubblica Amministrazione e di conseguente tutela del cittadino” (CTR di Roma, sent. n. 4/15/2004 del 20.01.2004) posto che la cartella di pagamento si presenta come un atto della Pubblica Amministrazione di fronte al quale il cittadino non è in grado di comprendere alcunché, se non che deve pagare una certa somma; per dissipare i suoi dubbi egli è costretto a svolgere una serie di laboriose indagini che possono rivalersi approssimative e fuorvianti, tali quindi da non consentirgli di individuare le ragioni del provvedimento emesso a suo carico. La qual cosa emerge, anche dalla recente sentenza della Suprema Corte a sezioni unite, n. 11722/2010 secondo cui “Se la Cartella rappresenta l’unico atto con cui l’ente impositore esercita la propria pretesa essa deve necessariamente contenere tutti gli elementi tra cui un’adeguata motivazione, volti a con sentire il necessario controllo in merito alla correttezza dell’imposizione

Avv. Marina Pierri
Avv. Marina Pierri

Iscritta all’ordine degli avvocati di Lecce dal 10/09/2010.
Oltre 10 anni di esperienza

Avv. Marina Pierri
pierri@avvocatopierri.it

Iscritta all’ordine degli avvocati di Lecce dal 10/09/2010. Oltre 10 anni di esperienza