09 Apr Licenziamento orale e onere della prova, Cass. civ., sez. Lav., 8 gennaio 2021, n. 149.
Il lavoratore che impugni il licenziamento allegandone l’intimazione senza l’osservanza della forma scritta ha l’onere di provare, quale fatto costitutivo della domanda, che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale.
Una recente pronuncia della Corte di Cassazione dell’otto gennaio 2021, n. 149, costituisce un importante arresto in tema di interrelazione tra onere della prova di colui che agisce in giudizio e normativa sui licenziamenti. Il codice civile, infatti, all’art. 2697 statuisce che colui che agisce in giudizio per far valere un proprio diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Nel caso in esame, un lavoratore lamentava l’avvenuto licenziamento in assenza di forma scritta in violazione di quanto statuito dalle norme inderogabili in materia lavoristica, mentre il datore di lavoro produceva una propria missiva contenente la comunicazione del recesso risalente ad una data successiva.
La Corte di Appello ravvisava che il lavoratore non era riuscito a fornire una prova certa, che potesse superare la prova documentale fornita dal datore, concernente l’avvenuto licenziamento in via orale, mentre quest’ultimo aveva invece pienamente assolto l’onere posto a suo carico dal secondo comma dell’art. 2697 cc secondo cui chi eccepisce l’inefficacia dei fatti affermati dall’attore ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.
Detta missiva del datore di lavoro risultava ricevuta dal lavoratore ma non impugnata. Il lavoratore lamentava quindi di fronte alla Suprema Corte che i giudici di merito avessero violato l’art. 2697 c.c. in tema di riparto dell’onere della prova in quanto è a carico del datore la prova concernente il requisito della forma scritta del licenziamento, mentre il lavoratore è gravato unicamente di quella della cessazione del rapporto. In caso contrario il lavoratore sarebbe costretto a fornire una cosiddetta prova diabolica.
La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, ha evidenziato che la mera cessazione definitiva della esecuzione delle prestazioni derivanti dal rapporto di lavoro non è di per sé idonea a fornire la prova che sia avvenuto un licenziamento, trattandosi di circostanza di fatto di significato polivalente la quale può essere l’effetto sia di un licenziamento, sia di dimissioni, sia di una risoluzione consensuale.
Il lavoratore che impugni il licenziamento allegandone l’intimazione senza l’osservanza della forma scritta ha quindi l’onere di provare, quale fatto costitutivo della domanda, che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale, seppure manifestata con comportamenti concludenti, non essendo sufficiente la prova della mera cessazione dell’esecuzione della prestazione lavorativa.
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